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Dalla Rete/2 – Le dimissioni

La mia amica Giuliana lascia. Ma, contrariamente a quanto pensano i più, quello che lascia è solo un insegnamento.

La mia amica Giuliana potrebbe essere, oggi, nell’immagine scherzosa che un’altra amica le ha dedicato, una guida.

RIFLESSIONI POST ELETTORALI

Una mia amica che ama il trekking e le escursioni nella Natura mi ha spiegato il fenomeno degli incendi nei boschi, non quelli dolosi, ma gli incendi naturali. Accadono nelle foreste tropicali dell’Africa o del centro-America.  Si tratta di fenomeni rarissimi, dell’ordine di uno ogni cent’anni, ma di grande impatto. E capitano quando la temperatura è altissima.

Accade in pratica che, certe volte, dei boschi prendano fuoco da soli. E non per un cerino acceso lasciato lì da un passante, né per dolo di qualche pazzo, né per fulmini o lava. Succede perché una gran quantità di enormi, immensi, coriacei e anziani alberi, ad un certo punto, spontaneamente, vanno in autocombustione. Essi evidentemente avvertono, in un piccolo istante una volta ogni cent’anni,  che – per dimensioni ed esigenze, coi loro tronchi inamovibili, rami, foglie e foglie secche – tolgono luce e vita agli alberi più piccoli, più giovani. Tanti semi di piccoli arbusti sono lì, a tentare di attivare la propria fotosintesi e bisognosi di scorci di luce. Ma nulla può cambiare. Fino a quando la Natura, da vera Madre, manda un segnale: la temperatura è altissima, c’è bisogno di un nuovo equilibrio. E così i grandi alberi secolari capiscono che è tempo di andare e vanno in autocombustione. Decidono di azzerare le loro “altezze” e lasciare aria, luce e terra ai tanti piccoli germogli alla loro “base”.  Le piante che vivono in posti dove capitano questi accidenti producono semi resistenti al fuoco. I semi trovano un ambiente ben concimato dai minerali residui dell’incendio e, liberi da concorrenza ingombrante, crescono e rinnovano tutto il bosco. In poco tempo il bosco bruciato appare una nuova sfolgorante distesa di verde, rinnovato, sano, forte.

Mi è sembrato un messaggio efficacissimo, questo, in questo particolare momento: la temperatura è altissima e  milioni di persone esprimono un bisogno.

Il grande segnale che arriva dal risultato elettorale e che nessuno di noi è stato in grado di intercettare in tempo utile, voglio coglierlo ora, forse in ritardo, ma meglio che mai. Credo moltissimo nella politica e nei partiti e non smetterò di farlo, sono l’architrave della nostra democrazia. Credo nella necessità di una immediata assunzione di responsabilità, ciascuno per la propria parte, per l’incapacità di leggere il mutamento, ascoltare, auscultare gli smottamenti tellurici e prevenire, chissà, i terremoti. Credo nella semplicità, nella consapevolezza, nell’umiltà contenuta in certi gesti, di cui la società è affamata. Non sono in grado di dare buoni consigli e non voglio dare cattivo esempio. Per tutti questi motivi ritengo di dovermi dimettere, io, per la mia quota di responsabilità, da ogni incarico che ricopro all’interno di quel che è e resta il mio Partito di riferimento, l’unico al quale mi sia mai iscritta. Rimetto il mio incarico da componente della Direzione Regionale del Partito Democratico, da Portavoce Provinciale delle Democratiche della BAT e da componente del neonato coordinamento cittadino costituito per volontà del commissario per la fase pre-amministrative. Questa scelta è condivisa con i compagni e le compagne con cui  ho iniziato e continuo a condividere il percorso – sempre inteso come collettivo e mai individuale – nel Partito Democratico.

Continuo a credere nella forza dell’impegno collettivo praticato all’interno delle organizzazioni politiche, ma ammetto che le mie, le nostre, “battaglie dall’interno” sono state per troppo tempo lotte contro mulini a vento. Chiedo un “reset” totale e comincio da me,  sperando che la mia non resti vox clamans in deserto.

Chiedo un reset per Barletta, dove molti sembrano non aver compreso la potenza del messaggio degli italiani e sono già ai nastri di partenza per candidarsi a sindaco, in 300. Chiedo un reset per la BAT, per la Puglia e per tutto il Partito Democratico, della cui tessera che porto in tasca voglio poter parlare con orgoglio. Chiedo una riflessione alla sinistra tutta.

Non vi è nulla che non si possa ricostruire. Proviamo ad imparare dai boschi. Proviamo a trovare, dalle nostre ceneri, una nuova vita. Ma prima ascoltiamo, capiamo, ammettiamo di non essere infallibili.

Giuliana Damato

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ILVA: domande

Quello che sta accadendo all’ILVA di Taranto è davvero un paradigma. Significa che ci dobbiamo rassegnare ad accettare passivamente l’esistenza endemica del conflitto tra lavoro e salute?

E se lo Stato dovesse abdicare al supremo interesse del lavoro davvero tutelerebbe il lavoro in quanto tale o starebbe solo, ancora una volta, nascondendo la protezione delle spinte del capitale dietro il paravento dei diritti dei lavoratori?

Siamo ancora disponibili, oggi, a parlare dei diritti dei lavoratori secondo uno schema arcaico, o dobbiamo iniziare a discuterne diversamente, partendo da una nuova e più ampia concezione dei diritti fondamentali della persona e delle comunità?

Nel 2012, nella nostra società precarizzata e instabile, davvero “il popolo” può permettersi di sottostare a ricatti tardo novecenteschi, anche qualora imposti da più o meno ampie masse di lavoratori disposti a far passare in secondo piano la salute pubblica e i diritti delle comunità pur di tutelare il proprio diritto al lavoro?

Dove si può tutelare e dove, invece, è necessario cambiare?

E quante altre ILVA esistono in Puglia, quante in Italia? Non è forse ora di dire basta e iniziare davvero a scrivere la storia di un nuovo modello di sviluppo? Oppure dobbiamo tutti rassegnarci a subire tumori, leucemie, morti e assenze precoci sacrificate sull’altare del lavoro?

Domande, queste, che mi pongo con grande sofferenza. Perchè le risposte che mi do sono scomode.