Archivio mensile:luglio 2012

ILVA: domande

Quello che sta accadendo all’ILVA di Taranto è davvero un paradigma. Significa che ci dobbiamo rassegnare ad accettare passivamente l’esistenza endemica del conflitto tra lavoro e salute?

E se lo Stato dovesse abdicare al supremo interesse del lavoro davvero tutelerebbe il lavoro in quanto tale o starebbe solo, ancora una volta, nascondendo la protezione delle spinte del capitale dietro il paravento dei diritti dei lavoratori?

Siamo ancora disponibili, oggi, a parlare dei diritti dei lavoratori secondo uno schema arcaico, o dobbiamo iniziare a discuterne diversamente, partendo da una nuova e più ampia concezione dei diritti fondamentali della persona e delle comunità?

Nel 2012, nella nostra società precarizzata e instabile, davvero “il popolo” può permettersi di sottostare a ricatti tardo novecenteschi, anche qualora imposti da più o meno ampie masse di lavoratori disposti a far passare in secondo piano la salute pubblica e i diritti delle comunità pur di tutelare il proprio diritto al lavoro?

Dove si può tutelare e dove, invece, è necessario cambiare?

E quante altre ILVA esistono in Puglia, quante in Italia? Non è forse ora di dire basta e iniziare davvero a scrivere la storia di un nuovo modello di sviluppo? Oppure dobbiamo tutti rassegnarci a subire tumori, leucemie, morti e assenze precoci sacrificate sull’altare del lavoro?

Domande, queste, che mi pongo con grande sofferenza. Perchè le risposte che mi do sono scomode.

Genova 2001 – 2012

Undici anni fa avevo undici anni di meno e molti sogni in più. Mano a mano i sogni si sono selezionati e sono scomparsi un po’ alla volta. Qualcuno ha continuato a fare capolino a lungo e si è trasformato in una consapevole e matura tensione verso i diritti dell’uomo, la loro applicazione ed estensione generalizzata, la capacità di avvertire il bisogno dell’altro come una necessità per se stessi, la consapevolezza che non sempre ciò che è giusto è ciò che desidera la maggioranza.

Purtroppo il mondo ha percorso la strada opposta.

Oggi ne paghiamo carissime le conseguenze ma il problema principale è che ancora troppi non lo hanno compreso. E sprofondiamo.

Almeno mi è restata forte la sensazione che avevamo ragione, che la nostra battaglia era giusta, che i nostri sogni erano onesti e puliti.

Allora, oggi, penso a Carlo e a tutti i Carlo di piazza Alimonda. A quelli che c’erano, a quelli che manifestavano in cento altre piazze nel mondo, a quelli che di piazza Alimonda hanno fatto il luogo di incontro dei cuori degli altri.

Avevamo ragione. Ci resta solo questo ed è tanto.

Ora, per favore, guardatevi questo oppure andate a guardarvelo al Circolo ARCI Cafiero di Barletta, stasera a partire dalle 21.30. E non dimentichiamo mai da che parte stanno, sempre, le persone perbene.

Canne, Canosa, Barletta: riflessioni

A quanti negli ultimi mesi mi hanno chiesto quale fosse la mia idea per valorizzare il sito archeologico di Canne ho sempre risposto che è impossibile avviare qualsiasi discorso in merito senza pensare preliminarmente ad una progettazione di ampio respiro territoriale, che tenga insieme le leggi regionali che interessano questa zona della Puglia sotto l’ombrello del PPTR e transiti giocoforza attraverso un pianificato percorso di ricerca, recupero, conservazione del patrimonio materiale esistente.

Mi fa molto piacere che una persona autorevole e intelligente qual è Lello Montenegro, già Dirigente alla Cultura del Comune di Barletta con Francesco Salerno, abbia avvertito il bisogno di mettere per iscritto le sue valutazioni, pubblicate ne La Gazzetta del Nordbarese di oggi. Devo dire, le condivido tutte, come già ebbi modo di dirgli in una recente piacevole chiacchierata in treno, di ritorno da Bari.

Nella sua riflessione c’è però un passaggio che mi sta particolarmente a cuore, ed è quello nel quale auspica una sinergia tutta da costruire tra Canosa e Barletta.

Montenegro, da persona di cultura, sa perfettamente che la storia del sito cannese, sul lungo periodo, va inquadrata anche nel secolare rapporto tra la Canosa preromana e romana e quella Tardo antica. Sa perfettamente, inoltre, che la strutturazione del territorio ofantino (e non solo) va inquadrata nel contesto della generale cristianizzazione delle campagne avvenuto tra V e VI secolo d.C. anche grazie all’opera, in particolare, del vescovo canosino Sabino. Sono, inoltre, convinto che Lello Montenegro sia a conoscenza del dibattito storico-archeologico avviato da Giuliano Volpe e dalla sua scuola, ancora in corso. Essi, ormai da un decennio circa, hanno avviato alcuni degli scavi urbani più importanti d’Europa e del Mediterraneo proprio nel tessuto della antica civitas canosina, sostenendo la riflessione sulla antica città daunia e la sua preminenza politica e culturale sul territorio sino, circa, al secolo X d.C. Le conclusioni degli studi effettuati e le conoscenze fin qui raggiunte consentono di riaffermare la centralità di una zona della Puglia troppo a lungo incastrata tra le interpretazioni minimaliste e campaniliste di città, quale la nostra, più interessate al dettaglio politico di breve periodo che alla reale costruzione di un percorso di conoscenza e ricchezza davvero condiviso.

Non mi stanco mai di ripetere che la storia del nostro territorio può essere riscritta grazie a quegli studi, e in parte sta già avvenendo e per questo anche noi barlettani dovremmo ringraziare i canosini che, di fatto, sono i veri promotori di cultura territoriale da molto tempo, ormai. Tramite questi studi è possibile chiarire tutta la dinamica insediativa Classica e Tardo antica della Valle dell’Ofanto, sino a giungere al compromesso tutto politico (e per questo ancor più interessante) e militare della fondazione normanna di Barletta e Andria. Stiamo parlando di un periodo storico di circa 1500 anni nei quali non solo si è strutturato parte del nostro patrimonio artistico e monumentale ma, soprattutto, si sono costruite tutte le identità forti della zona, a iniziare dal patrimonio agricolo e ambientale che costituisce l’iconema ripetuto dei paesaggi pugliesi e di questo in particolare: vite e ulivo. Il sito della cittadella di Canne è al centro di queste dinamiche e gode di una collocazione di assoluto rilievo paesaggistico, così come in passato è stata centro di rilevanza politica, militare, culturale, in stretto contatto sia con l’entroterra murgiano e ofantino sia con la linea costiera e la città di Barletta (e non solo).

Chiunque desideri la rivalutazione di Canne deve considerare tutte queste cose, iniziando a pensare al sito come un elemento territoriale e non come la proprietà di una città o di un’altra.

Nel fare presente queste cose, però, troppe volte mi sono sentito rispondere che il problema non è questo, ma che invece è necessario restituire centralità turistica al sito attraverso l’Antiquarium piuttosto che le terme di San Mercurio o attraverso la battaglia annibalica e così via dicendo (e delirando). E che, inoltre, la politica non ha interesse a imbarcarsi in un percorso lungo come quello da me (ma anche da Lello Montenegro, più autorevolmente) paventato, perchè poco funzionale ai tempi (brevi) della politica stessa e ai suoi interessi tutti locali, funzionali a se stessa e ai ritorni in termini di consenso di cui ha bisogno.

Ecco dunque perchè, anche qualora quel famoso protocollo d’intesa con la Soprintendenza venga ridiscusso, non sono fiducioso sulla bontà del risultato finale. Il sito andrebbe prima di tutto conosciuto nelle sue molteplici identità storiche, ambientali, culturali. Perchè questo avvenga è necessario studiarlo, sia in funzione di se stesso, sia in funzione delle realtà vicine (Canosa, Andria, Barletta, l’Ofanto, Salpi, Siponto). Andrebbero finanziati ulteriori scavi che ripristino completamente l’area della cittadella alla fruibilità di una eventuale musealizzazione del parco archeologico. Andrebbe valorizzato al meglio l’importante patrimonio tangibile conservato nell’Antiquarium e nei depositi della Soprintendenza, magari attraverso l’organizzazione di momenti di studio e ricerca affiancati da mostre temporanee delocalizzate. Il sito andrebbe messo in relazione diretta con il polo museale barlettano e con quello archeologico canosino, per non parlare poi delle relazioni tutte da costruire con le diocesi di Trani, Andria, Bari. Si dovebbe pensare, parallelamente, ad un percorso sinergico che ripristini la flora e la struttura geologica del corso dell’Ofanto. Potrei continuare a lungo, ma non è questa la sede opportuna per dilungarmi su cose che andrebbero pianificate da professionisti di settore (storici, archeologi, geologi, etc) piuttosto che lasciate alle rivendicazioni delle singole amministrazioni o a quelle personalistiche di questo o quell’altro.

Va infine detto con chiarezza che, in un eventuale percorso di questo tipo, la battaglia del 216 a.C. dovrebbe rappresentare solo un particolare minimo nella storia del territorio. Essa non è meno importante di altri eventi, anzi, è evidente che nella maturità raggiunta dal sito essa debba esserne il brand principale. Ma, oggi, non può essere ritenuta l’unica via di salvezza per il sito che, anzi, da essa ha ricevuto più danni che benefici. Diciamocelo chiaramente: negli ultimi cinquant’anni le beghe tutte localistiche che hanno caratterizzato il dibattito sulla battaglia (a iniziare dall’abominio del cambio di titolazione del sito in “Canne della Battaglia”), così come gli interessi privatistici di alcuni gruppi più o meno ampi, hanno finito per affossare ogni possibile intenzione positiva anche da parte di chi avrebbe potuto e dovuto aiutare la risurrezione del sito e la sua reale valorizzazione. La politica, poi, ha la grande responsabilità di aver foraggiato chiunque nominasse la battaglia, nell’illusoria convinzione che potesse davvero servire a qualcosa produrre brochures o finanziare passeggiate all’aria aperta, piuttosto che affidarsi completamente alle istituzioni preposte (Soprintendenza e Università) per la costruzione di un percorso progettuale pluriennale e effettivamente cadenzato anche attraverso l’utilizzo degli strumenti di finanziamento dedicati dalle istituzioni nazionali ed europee. I risultati, oggi, sono sotto gli occhi di tutti e, forse, ce li meritiamo.

Rileggiamoci Iorio, dunque, ma facciamolo spogliandoci, ciascuno di noi, dalle proprie ottuse convinzioni preconcette e evitiamo di interpretarlo, come troppo spesso è stato fatto, a nostro uso e consumo.

«[…] Cultura cos’è? E a Barletta, per Barletta? Non è tempo né luogo per fare un inventario della storia di Barletta. Nessuna città può vantare un patrimonio come lei. E poche la quintessenza della pugliesità negativa: dalla permalosità invidiosa alla sospettosità immotivata, dalla rispettosità acrimoniosa alla diffidenza ottusa, dalla rissosità meschina a quella che è la morte della cultura: l’improvvisazione dilettantesca e presuntuosa. Le intelligenze barlettane sono silenziose e neglette, isolate e misconosciute. Manca un polo di coagulazione credibile. Un referente autorevole che coordini le forze e le iniziative. […] Su cosa impegnarsi? […] Non ci si chiedono impegni di vistosità apparente, di interventi pittoreschi, di presenzialismo ubiquo e festaiolo. Non possiamo più permettere che la nostra città venda caldarroste da vucumprà della cultura effimera. Possiamo e dobbiamo farcela. Sono parole dure, e di savor di forte agrume. Ma questa è la nostra terra» (R. Iorio, Quel dente di cinghiale a Schorndorf. L acultura come necessità e come dovere, «Baruli Res» 2004, pp. 3-6).

Già, questa è la nostra terra; ma non di proprietà, ricordiamocelo. Impegnamoci dunque in quel senso, lasciando da parte quanto prodotto sino ad oggi.

Pausa

E’ un periodo di grande impegno, poca concentrazione e pochi stimoli davvero degni di essere meditati.

Pur avendo molto da dire, non mi va di scrivere nulla. Per questo sono un po’ assente.

A chi mi segue, perdonatemi, ma è estate per tutti. Anche se di lavoro serrato.

La Madonna dello Sterpeto: un libro

Stasera, nella chiesa del Purgatorio a Barletta, Pietro di Biase presenterà il suo libro La Madonna dello Sterpeto. L’icona della Vergine della Tenerezza a Barletta, edito da Cafagna Editore, giovane folle che ha deciso di impegnarsi a Barletta, terra non proprio amica, in una nuova avventura editoriale. Il volume è il secondo di una collana che si occuperà dei Santi Patroni della Bat, cercando di mischiare storia, arte, devozione, tradizione, religiosità.

La serata, inserita nel calendario di festeggiamenti per la Festa Patronale, sarà moderata dal giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno e membro del Comitato Feste Patronali, Giuseppe Dimiccoli.

Ho contribuito all’organizzazione della serata perchè sono convinto che vada ribadita non solo una devozione popolare ma quello che da tutti i barlettani dovrebbe essere considerato un istituto della nostra identità comune, laica e religiosa al contempo, spogliato di ogni strumentalizzazione ideologica.

A stasera.